È quanto emerge, con una
motivazione chiara e diffusa, da una recente ordinanza della prima sezione
civile della Corte d’Appello di Milano (presidente Amedeo Santosuosso, relatore
Maria Iole Fontanella – ordinanza in data 01/12/2016, pubblicata il
30/01/2017). Interessanti in particolare alcuni passaggi.
La Corte ricorda anzitutto che la
legge di ratifica della Convenzione dell’Aja 01/07/1985 non prevede alcun
divieto di costituzione di trust cd. autodichiarati (che prescindono dall’effettivo
trasferimento dei beni). Sottolinea inoltre come nell’ordinamento giuridico
italiano il principio generale e dell’unitarietà della garanzia patrimoniale,
sancito dall’art. 2740 c.c., non possa ritenersi più inderogabile, come si
desume dalle numerose disposizioni che contemplano l’istituzione di patrimoni
separati (il fondo patrimoniale, i vincoli di destinazione quale l’art. 2645
ter c.c. introdotto con d.lgs. n. 73/2005 e altre figure affini). La facoltà
quindi di imprimere a taluni beni una specifica destinazione deve ritenersi
riconosciuta nel nostro ordinamento.
Resta più problematica, in quanto
tuttora discussa nella giurisprudenza di merito, la questione dell’ammissibilità
nell’ordinamento interno del vincolo di destinazione autodichiarato. A fronte
di tali incertezze osserva tuttavia la Corte milanese che è sempre sotto il
profilo della meritevolezza della causa ex art. 1322 c.c. che va esaminato ogni
atto istitutivo di trust, al fine di valutarne sia la riconoscibilità ai sensi
della Convenzione dell’Aja sia la sussistenza dei presupposti ex art. 1418 c.c.
Con riferimento alla fattispecie,
osserva ancora la Corte che, diversamente da quanto ritenuto dalla Commissione
Disciplinare, non può gravare sul notaio la valutazione di prevalenza dell’interesse
del disponente su quello dei creditori in quanto dall’ufficiale rogante si può
pretendere esclusivamente un controllo di legittimità, con l’accertamento che l’interesse
dichiarato non sia contrario a norme imperative, all’ordine pubblico, al buon
costume, così come impone l’art. 28 n. 1 L. Not., non diversamente da qualunque
altro atto il notaio sia chiamato a redigere.
Ove pure i disponenti avessero
veramente voluto sottrarre il proprio patrimonio alle ragioni dei propri
creditori, l’atto in frode ex art. 2740 c.c. è per l’ordinamento atto valido e
pienamente efficace erga omnes e può
essere dichiarato parzialmente inefficace, limitatamente alla singola ragione
di credito, con l’esperimento dell’azione revocatoria ex art. 2901 c.c.,
soggetta a termini decadenziali e a rigorosi presupposti processuali (cfr.
Cass. Sez. 3, n. 23158 del 31/10/2014: “In
assenza di una norma che vieti, in via generale, di porre in essere attività
negoziali pregiudizievoli per i terzi, il negozio lesivo dei diritti o delle
aspettativa dei creditori non è, di per sé, illecito, sicché la sua conclusione
non è nulla per illiceità della causa, per froda alla legge o per motivo
illecito determinante comune alle parti, apprestando l’ordinamento, a tutela di
chi risulti danneggiato da tale atto negoziale, dei rimedi speciali che
comportano, in presenza di particolari condizioni, l’applicazione della sola
sanzione dell’inefficacia”).