Su istanza del figlio il giudice può chiedere alla madre se vuole rivelarsi.

Pubblicato il 27/01/2017


Le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione con la sentenza n. 1946 depositata il 25.01.2017 hanno colmato un vuoto normativo, statuendo un principio destinato a far discutere. Accogliendo il ricorso della Procura generale, la Corte ha infatti deciso che:

“In tema di parto anonimo, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 278 del 2013, ancorché il legislatore non abbia ancora introdotto la disciplina procedimentale attuativa, sussiste la possibilità per il giudice, su richiesta del figlio desideroso di conoscere le proprie origini e di accedere alla propria storia parentale, di interpellare la madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione, e ciò con modalità procedimentali, tratte dal quadro normativo e dal principio somministrato dalla Corte Costituzionale, idonee ad assicurare la massima riservatezza e il massimo rispetto della dignità della donna; fermo restando che il diritto del figlio trova un limite insuperabile allorché la dichiarazione iniziale per l’anonimato non sia rimossa in seguito all’interpello e persista il diniego della madre di svelare la propria identità.” 

Tale decisione, supportata da una lunghissima motivazione, pare efficacemente contemperare da un lato l’esigenza di riservatezza della donna e dall’altro il diritto del figlio di conoscere le proprie origini.